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Nel mio lavoro esamino la distanza e la memoria e le loro rappresentazioni architettoniche: l'urbanizzazione e la cartografia. Mi interesso principalmente degli aspetti di navigazione ed orientamento che possono rappresentare piuttosto che a quelli del design. Abitualmente vi sono alcuni aspetti del processo che attraversano il campo mnemonico; per esempio creare l'opera è un processo di memoria spaziale. Gli spazi che creo si basano spesso su spazi reali:posti dove ho vissuto, posti che rappresentano la casa, posti dove sono arrivata o dove sono passata e ripartita, posti che sono così minuti nelle loro distanze temporali come i modelli che ne faccio. Ricreando questi posti imito; da un lato un gioco di bambino (che è come mimare), dall'altro la pratica religiosa, dove si richiamano posti distanti ed eventi utili ad una affermazione di identità. Si tratta di pratiche prese in prestito che io porto avanti con un certo distacco e critica, anche se la sorgente è semi autobiografica. Vi sono due principali domande a cui cerco di rispondere attraverso l'uso della miniatura: Cosa succede quando due scale diverse si scontrano? I modelli sono abitualmente visibili o vengono supportati da oggetti, che possono creare una distanza netta tra lo spazio percettivo del modello e lo spazio fisico del corpo umano (la cornice.. il piedestallo..). Sono interessata a rimuovere questo tampone percettivo, in modo che lo scomodo affollamento del corpo e dell'architettura intorno al modello diventi significativo. Lo stesso modello potrebbe portare lo spettatore ad una autorità interpretativa distaccata ma ponendo i lavori direttamente sul terreno o in altre parole, confrontando lo spettatore con gli oggetti diventa impossibile il distacco dalla oggettualità del corpo.

Il corpo che limita il volo della fantasia, che ti porta fino al presente, sia temporalmente che spazialmente. Mentre le esperienze si spostano nel tempo i loro dettagli scompaiono o si trasformano. Più spesso una scena venga descritta, più uno si può aspettare una descrizione più frivola. Cosa è che si frappone tra la memoria e l'immaginazione, la storia e la finzione? L'immaginazione deve sempre venire informata dalla conoscenza empirica, da una esperienza vissuta realmente e il modo in cui collezioniamo le nostre esperienze del passato viene abitualmente fornito dalla nostra immaginazione. In questo modo, un piccolo modello vuoto di dettagli nella sua scala di riferimento ci appare invece dettagliato sulla scala umana, diventando come un riconoscimento dei momenti del passato o di un posto remoto. Così uno ricorda precisamente i personaggi e i gesti dell'esperienza diretta, eppure vi sono ancora molti vuoti che possono solo venire riempiti dalla logica ipotetica o dalla pura finzione. I lavori che sto realizzando per la Galleria Maze sono un punto di svolta dai miei lavori precedenti in quanto più basati sugli oggetti ma in un certo senso più astratti.

Li vedo, sia muoversi verso, che allontanarsi, dallo slancio impulsivo che è sempre il punto di partenza del mio lavoro. Il pezzo principale della mostra si chiama "Impass - Isak Primary School, Reykjavik". Una miniatura dettagliata della mia prima scuola: Isaksskoli di Reykjavik, che ho frequentato a 5- 6 anni. Il modello che è incastonato in scala piena, a muro, riporta i piedi a tracciare il percorso sugli scalini di accesso, come in un impossibile ritorno all'infanzia. "Island - Isola" è un astrazione architettonica in un modo simile a "impass", anche se la risoluzione formale è alquanto differente. Questo pezzo è un reticolato nauseante senza porte o finestre, solo aria, vento e luci. Il suo piano base si profila sul tracciato di una mappa di un isola appena fuori dalle coste islandesi. E' utile ricordare che Islanda è la corretta dicitura in lingua locale del nome terra di ghiaccio; ed è chiaro che il titolo ha un doppio significato. Per me sia "Impass" che "Island" hanno a che fare con l'ostruzione dei movimenti , uno con l'alienazione è l'altro con la claustrofobia. Anche se questa analisi è spero, solo uno dei molti approcci a questi lavori. Non credo infatti, che in quanto autrice di questi lavori io ne possegga il significato interpretativo. Gli ultimi due lavori della mostra, sono tratti da una serie da me realizzata nel 1999 - Un inaspettato sviluppo, questo per me - Mentre lo "spazio" domina il suo abitante ed il suo visitatore in "Impass" ed "Island"; in questi due lavori senza titolo, lo spazio è totalmente ed interamente riempito dallo spettatore in diverse modalità di rappresentazione e trasporto.

Katrin Sigurdardottir, Febbraio 2003 Pressetext

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Katrin Sigurdardottir